Le radio Yaesu e gli olandesi del '500

Ovvero: perché le radio Yaesu si chiamano "Yaesu"

Pubblicato on-line il 30/09/2021

C'è un pezzo dei Paesi Bassi nelle nostre radio giapponesi. Un pezzo che riguarda gli olandesi della fine del 1500: un periodo davvero lontano, molto lontano, dove la tecnologia c'entra davvero poco. Ma andiamo per gradi...

Uno degli ingressi della stazione Yaesu a Tokyo

Il 1500, inteso come l'intero XVI secolo e parte del XVII, fu un periodo molto burrascoso per i Paesi Bassi: la gente non era contenta di essere governata dagli spagnoli, dato che, quando Carlo I di Spagna (che era anche noto come Carlo V di Germania) aveva abdicato, l'area delle Fiandre, che comprendeva le attuali aree territoriali del Belgio e dei Paesi Bassi, era passata sotto il controllo del figlio Filippo II, divenuto, appunto, re di Spagna, delle Fiandre e dei domini americani.

La politica degli spagnoli era carica di tasse: tassavano di tutto, soprattutto il fiorente commercio olandese. E, ovviamente, gli olandesi non gradivano: ne nacquero una serie di rivolte che sfociarono in quella che divenne tristemente nota come "Guerra degli ottant'anni", dato che perdurò, con alterne vicende, dal 1568 al 1648.

In questo periodo "burrascoso", nonostante tutto, gli olandesi continuavano a commerciare, cercando di trarre il massimo da questa importante fonte di reddito.

E così, alla fine del secolo, nei pressi di Rotterdam, si stava organizzando una spedizione senza precedenti: una di quelle lunghe spedizioni che avrebbe portato a realizzare favorevoli commerci con l'Estremo Oriente, ancora sconosciuto agli olandesi ma, ormai da tempo, terreno di conquista per i navigatori spagnoli e portoghesi, diretti concorrenti di questa audacissima impresa.

Ma come arrivare in quelle terre lontane, evitando gli agguerriti galeoni spagnoli e, anche, inglesi e portoghesi?

Probabile rotta seguita per raggiungere il Giappone

L'idea, una volta lasciati i mari europei, era di passare attraverso lo Stretto di Magellano, una rotta inconsueta per quel tempo, arrivando lì entro la fine dell'anno, nel pieno della bella stagione australe, per poi attraversare il Pacifico. Una rotta nota solo agli ufficiali e tenuta segreta al resto dell'equipaggio che, certamente, non avrebbe gradito, visto che lo Stretto era tristemente famoso per la scomparsa di navi partite e mai ritornate.

Il 27 giugno del 1598, una flottiglia di quattro galeoni olandesi ed uno yacht (un termine olandese che significa "caccia" e che designava i panfili di dimensioni minori rispetto ai galeoni) partì da Rotterdam alla volta delle Indie Orientali.

La flotta olandese alla partenza, da una antica stampa

Erano ben cinque navi equipaggiate di tutto: c'era l'ammiraglia, "La Speranza" (De Hoop) guidata dall'ammiraglio Jacques Mahu, un esperto uomo di mare e mercante di 34 anni. All'ammiraglia si aggiungevano "L'Amore" (De Liefde), "Il Credo" (Het Geloof), "La Lealtà" (De Trouw) e lo yacht "Buona Novella" (De Blijde Boodschap). Nomi, questi, di buon auspicio per la missione.

La seconda nave più capace della piccola flotta era il galeone "L'Amore", che aveva una stazza che superava le 330 tonnellate: a bordo c'erano ben 110 uomini d'equipaggio e 18 cannoni, coadiuvati da 500 moschetti, munizioni e ben 250 chili di polvere da sparo; c'era anche una modernissima bussola ad ago realizzata da uno dei migliori geografi olandesi del '500, Petrus Plancius... Insomma, non era stato trascurato proprio nulla. Inoltre, faceva parte del suo equipaggio un mercante, Jan Joosten van Lodensteyn, probabilmente il più anziano tra tutti, dato che aveva quasi 45 anni, ma con una grande voglia di avventura e ricchezza: per la sua esperienza, gli era stato assegnato il compito di stabilire nuovi e proficui rapporti commerciali. E c'era anche una curiosità. Questo "De Liefde" era l'unico galeone ad avere una polena sulla prua: le navi olandesi, a quel tempo, non le usavano, ritenendole uno spreco di denaro. La polena del De Liefde rappresentava Erasmo da Rotterdam, forse a ricordo del suo nome precedente "Erasmus", cambiato in "De Liefde" prima della partenza per accordarsi con quello degli altri vascelli.

Una missione solo in parte commerciale: in realtà era forte la volontà di giungere alle Molucche, all'epoca note come "Isole delle Spezie", convincere i locali a commerciare solo con gli olandesi e spingerli a rivoltarsi contro gli odiati spagnoli e portoghesi che, dal 1511, controllavano i prosperi commerci con queste isole... Una bella impresa, insomma, anche perché le spezie erano richiestissime, strapagate ed in tanti le ritenevano utili per combattere la peste.

Le navi partirono in quella fresca mattina del principio dell'estate da Brielle, piccolo porto a nord di Rotterdam. Una mattina anche troppo fresca, visto che una pioggerella fastidiosa rese uggiosa la partenza, bagnando le tante persone che assiepavano il molo del piccolo porto per salutare chi avrebbero rivisto solo dopo sei anni... Tanto doveva durare, infatti, questa avventurosa impresa.

La piccola flotta olandese, favorita dal vento e dalle correnti, giunse in vista delle coste delle Isole di Capo Verde all'inizio di settembre, in poco più di due mesi di continua navigazione. Gli uomini non avevano mai toccato terra nei due mesi passati e non ci fu modo di trattenerli a bordo; anzi, col senno di poi, sarebbe stato meglio che non fossero mai sbarcati. Passati alcuni giorni, infatti, molti di loro cominciarono ad accusare malori e febbri. Si ammalarono tutti e pareva che non ci fosse alcun rimedio. La febbre durava per giorni e era davvero debilitante, nonostante fosse gente abituata a tutto. Per l'ammiraglio Jacques Mahu ed altri la strana malattia fu addirittura fatale. L'ammiraglio morì il 23 settembre e fu sostituito dal suo vice, Simon De Cordes, anche lui mercante ed esploratore che, lasciato il suo posto sulla De Liefde, si trasferì sull'ammiraglia "La Speranza", scambiandosi con William Adams.

Non si poté partire da Capo Verde se non all'inizio di gennaio del 1599: un ritardo enorme che avrebbe comportato l'arrivo allo Stretto di Magellano in prossimità dell'inverno australe. Le navi ripresero il viaggio, puntando la loro prua a sud-ovest.

Non fu un'impresa facile: le cinque navi attraversarono lo stretto a marzo inoltrato, ma si persero di vista a causa del mare in tempesta. Si seppe dopo che lo yacht "Buona Novella" era stato catturato dagli spagnoli a Valparaiso, sulla costa cilena, dove era stato costretto ad attraccare dalla mancanza di provviste ed acqua.

Tra i quattro vascelli superstiti, "Il Credo" fu costretto a fare rientro a Rotterdam dove giunse nel 1600, dopo aver attraversato l'intero Pacifico con un equipaggio praticamente decimato, mentre "La Lealtà" sbarcò nel Cile meridionale vicino a Chiloé, un'isola lunga ben 150 chilometri e parallela alla costa, dove i suoi marinai attaccarono una fortezza spagnola sino a quando la nave fu catturata e l'equipaggio sterminato da spagnoli e locali. Alle due navi superstiti, "La Speranza" e "L'Amore" non restò che continuare, consapevoli del fatto che tutti i porti in quell'area erano sotto il controllo degli odiati spagnoli: puntarono, quindi, le loro prore a nord-ovest, verso le Hawaii, per poi, ad un certo punto, dirigersi nettamente a ovest, verso le Molucche.

Purtroppo, l'Oceano Pacifico, a dispetto del nome, riservava tremende sorprese. Sul finire del 1599, tempeste e tifoni resero difficoltoso l'attraversamento, tanto che il galeone "La Speranza", quello dove era salito De Cordes, fu travolto ed affondato da un tifone prima di giungere in vista delle Hawaii: morirono tutti gli uomini dell'equipaggio. Da quel momento, "L'Amore", il De Liefde, fu l'unico a proseguire il suo viaggio verso il Giappone.

Un pannello commemorativo giapponese dell'arrivo della De Liedfe: in primo piano, Yayosu vestito di rosso (da Wikipedia)

Finalmente, il 19 aprile del 1600, la nave giunse in vista delle coste della Baia di Usuki, nell'isola più meridionale del Giappone, Kyushu, arenandosi nel basso fondale. Solo 24 degli originali 110 membri dell'equipaggio erano sopravvissuti al difficile ed estenuante viaggio, durato quasi due anni, e meno di dieci si reggevano sulle proprie gambe. Tra essi, c'erano il pilota inglese William Adams (in blu nella foto in alto) ed il mercante Jan Joosten van Lodensteyn (vestito di rosso e col cappello in mano). Pensate: furono il primo inglese ed il primo olandese a giungere in Giappone!

Immediatamente, cercarono di prendere contatto con i locali ma sul posto c'erano già i missionari spagnoli e portoghesi, tutti Gesuiti, che, appena si resero conto della nazionalità olandese e della religione calvinista dei nuovi arrivati, si affrettarono a sobillare le autorità locali per farli arrestare e giustiziare con l'accusa di pirateria. Adams, Jan Joosten e compagni vennero tradotti come prigionieri al castello di Osaka, mentre la loro nave ed il suo carico di armi, cannoni e polvere da sparo furono sequestrati: lo Shogun Ieyasu Tokugawa se ne sarebbe servito per assicurarsi la vittoria nella Battaglia di Sekigahara, un conflitto che avrebbe cambiato per sempre la storia del paese del Sol Levante.

I primi approcci dei naufraghi con lo Shogun (da Wikipedia)

Chiaramente, i primi tempi non furono facili ma Adams e Jan Joosten riuscirono a farsi riconoscere buoni consiglieri dello Shogun locale, felice della vittoria avuta anche grazie alle armi sequestrate agli stranieri e positivamente impressionato dalle loro conoscenze di navigazione. Gli Shogun, nel Giappone feudale, erano i "signori della guerra" al cui comando erano poste le province della nazione del Sol Levante.

Antica stampa con gli olandesi in Giappone

Jan Joosten van Lodensteyn divenne una figura di spicco e, pur essendogli impedito di lasciare il Giappone, gli fu concesso di sposare una giapponese, ricevendo anche il privilegio di indossare le due spade dei Samurai, collocandosi tra i ranghi degli Hatamoto, cioè i servitori diretti dello Shogun.

Per i suoi servigi resi allo Shogun, divenne assegnatario di terre nel luogo in cui, oggi, sorge la stazione centrale ed un quartiere di Tokyo. Questo posto prese da lui il nome: Jan Joosten. Un nome piuttosto difficile per i giapponesi che, ben presto, lo modificarono in un più pratico "Yan Yosuten" dato che la loro lingua, a causa del particolare alfabeto sillabico, non contempla i gruppi di consonanti. Nel giro di qualche tempo quel nome fu ulteriormente semplificato, divenendo noto come "Yayosu" e "Yayosu Quay" indicò, per sempre, i luoghi che erano stati assegnati al mercante olandese.

Un tempietto commemorativo dello sbarco di Jan Joosten Yayosu nella metropolitana di Tokyo (da Google Street)

Con il passare degli anni, quei stessi luoghi divennero noti con un nome ancora più contratto, caro a molti radioamatori: Yaesu.

Nel quartiere di Yaesu, proprio lì dove Jan Joosten van Lodensteyn, alias Yayosu, primo olandese a giungere in Giappone, aveva stabilito la sua residenza, Sako Hasegawa, nel 1959, stabilì la sede della sua azienda, nata con l'intento di sviluppare e produrre ricetrasmettitori radio commerciali e amatoriali per il mercato giapponese. Sako, noto ai colleghi con il nominativo JA1MP, decise di chiamarla proprio come il quartiere che lo ospitava: Yaesu, appunto... o, per dirla all'olandese, "Jan Joosten"

Ed ecco come storia, fatti e persone si intrecciano per far nascere l'attualità che noi viviamo ogni giorno e come, dal nome di un olandese vissuto tra il 1500 ed il '600, sarebbe nato il nome di uno dei principali costruttori di attrezzature radioamatoriali.